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SETTIMO VITTONE: Un’agricoltura eroica

Il centro storico costeggiato di stradine e casette in pietra, il castello che troneggia sulla rocca, il verde fitto che lo circonda, impreziosendone il paesaggio: siamo a Settimo Vittone (Ël Seto Viton in piemontese), un borgo medievale della città metropolitana di Torino. 
Plasmato da fascinose pendici scoscese, Settimo Vittone ha saputo valorizzare il paesaggio montano per l’antica arte bucolica degli alpeggi e per frutti della terra inimitabili. La produzione della zona, infatti, è un esempio di agricoltura eroica (di nome e di fatto) in cui la creazione di terrazzamenti, necessari per lavorare i declivi montani, si è trasformata in un’arte ed è valsa al comune l’iscrizione Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali Storici come "Paesaggi Terrazzati Viticoli e Agricoli del Mombarone".


Una visita alle vigne di Settimo Vittone è anche un’occasione per ammirare l’arte dei tipici “pilun” ossia gli elementi architettonici, in pietra e calce, fondamentali per sostenere le pergole su cui crescono le viti. e che oggi rendono unici i terrazzamenti viticoli del borgo. Una meta speciale per i buoni camminatori che potranno scegliere tra questo itinerario e una rete di mulattiere in selciato a fondovalle.
Settimo Vittone è un paese ricco di storia, il cui toponimo ricorda la sua collocazione in prossimità dell’antica Mansio ad Septimum Lapidem. Già nel 1036, il nome era documentato nella forma Septimo, mentre il determinante Vittone è apparso solo molto più tardi, precisamente nel 1488, quando viene citato come Septimi Victori. Questo nome suggerisce l’esistenza di una stazione utilizzata da montanari esperti delle aree alpine circostanti.


Il termine “Settimo” si riferisce a una stazione situata a sette miglia da Ivrea e il valore del toponimo fa riferimento al passato del paese, sviluppatosi dopo la conquista romana. Si ritiene che dal suo antico villaggio sia nato il borgo altomedievale dove, secondo la tradizione, trovò rifugio la leggendaria Beata Ansgarda, regina di Francia. In onore di ciò, suo fratello Anscario, marchese d’Ivrea, fondò nell'IX secolo l’ospedale di San Leodigario.
Dopo essere diventato feudo del vescovo di Ivrea, Settimo Vittone ottenne nel 1179 l’autonomia amministrativa, grazie ai signori locali e nel XIV secolo, il vescovo concesse ad Amedeo VI di Savoia diritti su questa valle.


Tra i monumenti di maggiore interesse da ammirare in questo borgo, spicca ovviamente il castello. Le sue origini risalgono al IX secolo, quando Attone Anscario, il primo Marchese d’Ivrea, lo utilizzò come seconda residenza. Tuttavia, nel corso del Cinquecento, durante le ostilità tra Spagna e Francia, il Duca Carlo III di Savoia ne ordinò la demolizione e oggi soltanto alcuni resti medievali rimangono visibili, come una torre in rovina e alcuni eleganti fregi in cotto. La leggenda narra che Asgarda, regina dei Franchi e sorella di Anscario I, sia stata sepolta all’interno delle mura del castello, non lontano dal complesso paleocristiano composto dalla pieve di San Lorenzo e dal battistero, entrambi risalenti al IX secolo.
La Pieve con il suo battistero è un altro affascinante luogo di Settimo Vittone. Posto su una rocca quasi come protettore del borgo, il complesso nel Medioevo costituiva una parte importante per i pellegrini che attraversavano la via Francigena.


Degna di visita è anche la chiesa della Madonna delle Grazie, con i suoi affreschi realizzati da pittori operanti tra il 1100 e la fine del 1400.
Ma Settimo Vittone non è solo storia, arte e architettura, perché vanta anche una ricca tradizione culinaria. Qui, infatti, è possibile sedersi a tavola e vivere un’esperienza unica all’insegna della deliziosa cucina piemontese e, in particolare, della tradizione canavese, che fa delle risorse del territorio una ricchezza per il palato. Tra i piatti tipici locali troviamo la zuppa di “ajucche”, un’erba comune che cresce in tutta l’Italia Settentrionale, tra i 600 e i 2000 metri di altitudine: contadini e pastori in passato impararono ad apprezzarla e la usavano per preparare frittate e polenta, oltre alla famosa zuppa. Per prepararla si unisce questa erba a un’altra che cresce a queste altitudini, la bistorta. Si inizia preparando un brodo al quale si aggiungono lardo d’Arnad, aglio, scalogno, timo serpillo, burro d’alpeggio, uova, brodo di gallina e olio extravergine d’oliva. Un ingrediente essenziale è la toma, sia brusca che d’alpeggio, che va grattugiata dopo aver cucinato la zuppa. Quando si porta in tavola, si accompagna con fette di pane abbrustolito.

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